Vajont – 9 ottobre 1963, ore 22,39.
260 milioni di metri cubi di roccia e terra, si staccano dal Monte Toc, riversandosi nel lago del bacino del torrente Vajont (al confine tra Veneto e Friuli) e creando un’onda di 50 milioni di metri cubi di acqua; la metà di questa onda salta la diga verso Longarone e altre frazioni, defluendo poi lungo il Piave; l’altra lambisce il paese di Casso e risale a monte verso Erto.
La vita di 1.917 persone è cancellata per sempre.
La storia del Vajont ha tristemente appassionato me e Francesco; naturalmente nel 1963 non eravamo ancora nati, ma già da ragazzina mi feci raccontare da mio padre cosa accadde e qualche anno fa, quasi per caso, durante una vacanza sulle Dolomiti, acquistammo un cofanetto contenente il libro di Marco Paolini (e Gabriele Vacis) e il dvd del suo spettacolo dal vivo, direttamente dalla diga.
Un racconto impressionante, denso di emozioni, che ti tiene lì, incollato allo schermo, senza quasi respirare, per non perdersi neanche un attimo di quelle parole.
Avevamo anche visto il film “Vajont – La diga del disonore”, una narrazione ben fatta di questa triste storia italiana, quindi la scelta di visitare, in auto (e poi in volo), i luoghi della tragedia.
Prima di arrivare alla diga, si incontra il paese di Longarone…il nuovo paese.
Il vecchio è stato completamente spazzato via dall’ondata, poi iniziamo a salire e nella strettissima valle appare la diga.
E’ ancora là, con i suoi 262 metri, imponente, incastonata tra le pareti, quasi a voler dire: “Io non c’entro, io sono qui, mica sono caduta”.
Dietro la diga, l’immensa frana, sulla cui terra è stata costruita la strada, che porta al paese di Erto.
A destra è ben visibile la montagna da cui si è staccata…il Monte Toc, che in dialetto significa “pezzo”…forse fu chiamato così per la conosciuta franosità della zona.
A sinistra, in alto sulla montagna, il paese di Casso.
Una volta visti da terra, non potevamo che tornarci in volo e se dal basso la vista è sconcertante, dall’alto fa davvero rimanere senza parole.
Ecco perché ho pensato di condividere questi scatti dal cielo, anche se l’obiettivo non rende giustizia a ciò che gli occhi hanno visto.
In volo si può ben osservare la maestosità della diga, la stretta gola dove l’acqua ha accelerato verso Longarone, la quantità di terra che è caduta.
Dall’alto si comprende ancor di più l’impressionante descrizione del giornalista Dino Buzzati, inviato del Corriere della Sera, che il giorno dopo il dramma, scrisse così:
“Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito perché il bicchiere era fatto bene, a regola d’arte, testimonianza della tenacia e del coraggio umani. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico”.
Per doveroso rispetto, di questa tragedia che poteva essere evitata, non condividerò, in tema di “Avioturismo & Cucina Locale”, nessuna ricetta.
Altri voli ci hanno portato in queste meravigliose zone e questi saranno l’occasione per raccontare della loro cucina e dei piatti da me sperimentati.
Ecco alcuni video realizzati in volo:
Valle del Vajont